Campagna elettorale: il salario minimo torna alla ribalta

Con l’apertura della campagna elettorale sale nuovamente alla ribalta il tema dell’introduzione in Italia del “salario minimo”, già oggetto di dibattito nelle scorse settimane a seguito dell’emanazione, da parte della Commissione europea, della Direttiva che invita ad introdurlo in ogni Stato Nazionale membro della UE.

La posizione della CISL in merito è chiara, come spiega il Segretario Generale della CISL Monza Brianza Lecco Mirco Scaccabarozzi “Un salario minimo legale rischia di schiacciare verso il basso le retribuzioni di milioni di lavoratori, poiché molte aziende uscirebbero dalle tutele contrattuali attestandosi sulla soglia normativa. Bisogna innanzitutto smetterla con le mistificazioni comunicative che continuano a confondere TEM (trattamento economico minimo) e TEC (trattamento economico complessivo – welfare aziendale; previdenza integrativa). Il salario minimo legale è lo strumento da usare per i Paesi dove la contrattazione è poco diffusa, dove invece è diffusa essa va rafforzata. La proposta del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, di estendere i trattamenti retributivi dei contratti maggiormente rappresentativi è una soluzione sostenibile, che garantisce la tutela del potere d’acquisto dei lavoratori. Lo sanno bene i metalmeccanici che hanno rinnovato il contratto a febbraio del 2021 e sono al riparo dalle fiammate inflazioniste”.

 

Per capire meglio lo statu quo nel nostro Paese e i meccanismi che regolano lo stipendio che percepiamo a fine mese abbiamo intervistato Marcello Riva, Responsabile del Dipartimento Organizzativo della Cisl Monza Brianza Lecco.

Partiamo dall’inizio. Cosa ha determinato la scelta, da parte dell’Unione Europea, di prevedere un salario minimo garantito?

“Per capire a fondo il tema occorre fare una premessa: ogni Stato Nazionale europeo ha una propria regola salariale che è tanto diversa l’una dalle altre tanto da non essere paragonabili tra loro e, soprattutto, non applicabili ad altri paesi membri. Tutto ciò porta ad avere differenze salariali importanti lungo tutto il vecchio continente; da qui la necessità, da parte dell’Esecutivo europeo, di varare la Direttiva sul salario minimo unico”.

In Italia ad oggi non esiste una legge sul salario minimo a livello nazionale. Qual è quindi il meccanismo che regola i contratti nel nostro Paese?

“In Italia i salari sono, da decenni, regolati e contrattati dalle Parti Sociali nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (C.C.N.L.). In aggiunta, le stesse Parti Sociali, contrattano altri elementi economici come le mensilità aggiuntive e i Contratti di secondo livello che possono essere aziendali, territoriali o di bacino, che vanno a costituire la T.E.C. di ogni lavoratore (Trattamento Economico Complessivo)”. 

Già dalla premessa si evidenziano due nodi nevralgici di tutto questo dibattito. Il primo, più “politico”, riguarda chi è titolato a contrattare i salari e, conseguentemente, chi determina le retribuzioni dei lavoratori nel nostro Paese.

“Il Diritto Italiano e le Leggi in materia, sanciscono che i C.C.N.L. sono siglati dalle Organizzazioni Sindacali e dalle Associazioni Datoriali comparativamente più rappresentative in Italia e, dopo l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, se approvate a maggioranza delle R.S.U. (Rappresentanti Sindacali Unitarie) vengono estese Erga Omnes ai lavoratori aderenti a quel contratto” spiega Marcello Riva. “In Italia i contratti regolarmente depositati presso il C.N.E.L. sono 985 C.C.N.L. Di questi, solo 162 sono firmati da C.G.I.L. C.I.S.L. e U.I.L. e dalle Associazioni Datoriali più rappresentative e quindi garantiscono un salario ampiamente più dignitoso del salario minimo oggetto di dibattito. Di contro, la quasi totalità dei restanti Contratti così detti “Contratti pirata”, sono sottoscritti da sigle sindacali di comodo, da singoli datori di lavoro, da studi legali o studi professionali. Contratti che si applicano a poche centinaia di lavoratori, spesso impiegati in un’unica azienda, e che esercitano un vero e proprio “dumping contrattuale” non garantendo un salario dignitoso e diritti ridotti all’osso soprattutto in materia di sicurezza aziendale.

Per una parte delle forze politiche e di una parte del Sindacato Confederale, la soluzione al problema è l’introduzione del salario minimo mentre, per la C.I.S.L., la soluzione non può passare per decreto ma deve legarsi alla validità dei Contratti sancita dalla piena legittimità rappresentativa”.

Argomento di dibattito per diversi decenni, la misurazione della rappresentanza torna ad essere un nodo urgente da sciogliere.

“Lo strumento di misurazione esiste ed è contenuto, anch’esso, nell’accordo Interconfederale di giugno 2011 che fissa criteri oggettivi per la misurazione della rappresentatività delle Organizzazioni Sindacali, utile al fine di individuare le organizzazioni legittimate a negoziare e stipulare contratti collettivi nazionali di categoria. Per renderlo efficace ed eliminare così tutti i contratti pirata, serve la misurazione di rappresentatività anche delle Associazioni datoriali e, soprattutto, rendere operativo tale accordo che, dopo 10 anni dalla sigla, rimane ancora nella fase sperimentale e solo per i contratti siglati da Confindustria”.

Come garantire il potere d’acquisto dei salari ed aumentare le buste paga dei lavoratori Italiani?

“Sul fronte del salario, da anni, il meccanismo di incremento è legato in proporzione all’andamento dell’I.P.C.A., una sorta di inflazione media europea al netto dei costi energetici” spiega ancora Riva “ Oggi, per effetto dei costi elevati dell’energia, questo indice non garantisce il pieno recupero dei salari e il dibattito si focalizza su due versanti: da una parte i nostalgici degli automatismi inflativi che vedono, nel salario  minimo, la base di partenza su cui lavorare nella contrattazione collettiva ma che non garantisce, soprattutto per i settori più “poveri”, la certezza di salari congrui; dall’altra la C.I.S.L. che chiede a tutte le parti sociali di sedersi ad un tavolo e concordare un nuovo e moderno meccanismo di incremento salariale partendo dall’I.P.C.A., ma al lordo dei costi energetici, e che tenga conto di un mondo del lavoro che cambia e si evolve con una velocità mai provata prima”. 

 

Dal punto di vista politico rimane il nodo di come aumentare il salario netto in busta paga di tutte le lavoratrici e dei lavoratori nonché delle pensionate e dei pensionati italiani. Le Parti Sociali sono d’accordo sulla possibile soluzione, come sottolineato da Mirco Scaccabarozzi “occorre agire sul cuneo fiscale e alleggerire la pressione fiscale aumentando il netto in busta paga. Le risorse utili si possono realizzare “concertando” la distribuzione del P.N.R.R. e inasprendo la lotta all’evasione fiscale andando finalmente ad individuare e punire i 19 milioni di evasori fiscali e redistribuire quelle risorse a chi le tasse le paga tutte e costantemente” 

“A conclusione del suo XIX Congresso Confederale, la C.I.S.L.” continua Scaccabarozzi “ha ribadito il concetto “se non ora quando” e si è dichiarata pronta a sedersi al tavolo con tutte quelle forze, Sociali e di Governo, che hanno voglia e coraggio di cambiare l’Italia partendo dai temi da risolvere e dai nodi da sciogliere che alimentano il dibattito sul mondo del lavoro e sulla crescita del nostro paese”.