JOBS ACT: C’È DEL BUONO, MA…

«Delle norme fissate dal governo c'è ne sono alcune che consideriamo sbagliate, come quelle relative ai licenziamenti collettivi, al mantenimento di una distinzione tra aziende sotto i 15 e sopra tale soglia per la remunerazione in caso di licenziamento; siamo altresì consapevoli della necessità che la contrattazione debba assumere un diverso peso per garantire migliori condizioni, sapendo che la normativa preesistente non è stata abolita e continua ad essere una possibilità per continuare ad assumere…»

Nel 2014, la crisi economica ha penalizzato il mercato del lavoro e il contesto occupazionale dei nostri territori. L’andamento dei tassi di occupazione restano inferiori al 70% con riferimento alla popolazione attiva, il dato della disoccupazione supera il 7%, ben lontano dai tassi fisiologici che rappresentavano l’andamento occupazionale di territori considerati la locomotiva del Paese. Certo se guardiamo al resto del Paese, ma nella stessa regione Lombardia, ci troviamo tra quelli meglio messi. Per molti versi, avere una metropoli come Milano a breve distanza, ha rappresentato per molti una risposta concreta per la ricerca di un lavoro.
Preoccupano i neet, cioè quei giovani che non studiano né lavorano, che rappresentano una sfida a cui dedicare molta attenzione e a cui il legislatore ha dedicato, seppur con qualche problema e, ancora oggi, con qualche scarso risultato in termini numerici, il programma «garanzia giovani».

Recentemente, una ricerca della Fondazione Toniolo per la Camera di commercio ha dimostrato come i giovani, considerati da molti come «bamboccioni», in realtà dimostrino di avere un atteggiamento pro attivo al lavoro, come autorealizzazione di progetti personali, ed è evidente il rischio che questo valore aggiunto possa essere frustrato da una mancanza di luoghi e di investimenti, anche formativi, ma non solo, dove farli emergere. Il rischio pertanto di un incremento dei neet resta dietro i timidi segnali di inversione del ciclo economico.

È poi del tutto evidente che, insieme ai timidi segnali di miglioramento dell’economia, si registri un forte consenso delle imprese sul tema della decontribuzione del costo del lavoro. Sono mille a Lecco e 3.825 in Brianza, le richieste inoltrate all’Inps per l’utilizzo di questi sgravi. È la prima volta che si registra uno spostamento così forte dai contratti precari a contratti a tempo indeterminato.
In Lombardia, nel primo bimestre 2015, i contratti a tempo indeterminato sono aumentati del 18% rispetto al medesimo periodo del 2014, quelli a termine sono calati dello 0,6%.
Il cosiddetto saldo tra lavoratori avviati e cessati a tempo indeterminato è cresciuto del 113%: occorrerebbe un’analisi più dettagliata, ma si può fin da ora dire che ciò è legato da un lato ad un aumento in valori assoluti delle assunzioni con contratto a tempo indeterminato e, dall’altro, a una diminuzione dei contratti a tempo indeterminato che cessano o vanno in pensione.
In Brianza, sempre nel primo bimestre, i contratti a tempo indeterminato sono aumentati del 16% – un po’ meno rispetto alla Lombardia – ma, contrariamente al dato regionale, aumentano anche i contratti a termine (14%), mentre calano i contratti a progetto(-10%).

Non sappiamo se questo spostamento sarà corrisposto da un altrettanto dato positivo sul lato dell'incremento occupazionale in termine di tassi di attività permanenti, lo verificheremo nei prossimi mesi. Di certo, per ora, quelli che abbiamo definito timidi segnali di ripresa anche nel nostro si sono concretizzati in due fatti: sono aumentati gli avviamenti (15.505 rispetto ai 13.782 del primo bimestre 2014); qualche giovane lavoratore è un po’ meno precario di prima.

In Provincia di Lecco, a febbraio 2015 rispetto allo stesso mese del 2014, la crescita dei contratti è stata del 53% con 589 contratti stipulati rispetto ai 384 dell’anno scorso. Nel 2014 per il 3° anno consecutivo si è ridotto il numero di lavoratori avviati al lavoro (di poco superiori alle 30mila unità ) ma soprattutto è rimasto negativo il saldo tra avviamenti e cessazioni dei rapporti di lavoro (oltre 2.700 unità) segno di un’ulteriore riduzione dei posti di lavoro nelle imprese del territorio, in particolare nel settore manifatturiero con -1.400, nell'edilizia -450, nei servizi -850.

Altri decreti del Jobs act, oltre a quelli già usciti, sono attesi per capire come il governo intenda promuovere una governance del lavoro più efficace. A noi sembra di dover ricordare a questo esecutivo che è importante non abbandonare le buone prassi che i territori hanno fino ad oggi espresso in ordine sia alla gestione della domanda e offerta di lavoro, ma anche per tutto il lavoro che si è realizzato per far diventare reali ed esigibili quelle politiche attive che devono consentire una mobilità programmata a garanzia dei lavoratori e lavoratrici che perdono un posto di lavoro.
Per questa ragione intendiamo vigilare sulle prossime decisioni in merito all'agenzia unica nazionale e alla partita della formazione professionale.

Chi sta costruendo una coalizione sociale e/o sindacale basando la sua coesione interna nel fare del jobs act un obiettivo da affossare, rischia di fare un cattivo servizio alla causa dei lavoratori e del sindacato in questo paese. Crediamo che il sindacato debba dimostrare di essere in grado di rinnovare la sua cassetta degli attrezzi. Delle norme fissate dal governo c'è ne sono alcune che consideriamo sbagliate, come quelle relative ai licenziamenti collettivi, al mantenimento di una distinzione tra aziende sotto i 15 e sopra tale soglia per la remunerazione in caso di licenziamento; siamo altresì consapevoli della necessità che la contrattazione debba assumere un diverso peso per garantire migliori condizioni, sapendo che la normativa pre esistente non è stata abolita e continua ad essere una possibilità per continuare ad assumere. Da questo punto di vista sarebbe opportuno costruire una strategia contrattuale, e non solo legale, che renda possibile questa opzione per non lasciarla nelle sole mani delle imprese. Storicamente abbiamo dimostrato che la causa dei lavoratori e lavoratrici si tutela con le relazioni industriali e, solo se non ci sono altri sbocchi, con le aule di tribunale.

Un buon mercato del lavoro è un terreno fertile per accompagnare maggiore occupazione e politiche di crescita economica. A questo esecutivo chiediamo che dalle parole sulla necessità di allentare la stretta economica imposta dalla Germania, si passi a realizzare politiche per far crescere la domanda, a partire da una riforma del fisco che introduca maggiore equità, anche attraverso il contributo di chi più ha, e una revisione della legge Fornero che renda più flessibile l'uscita dal lavoro per chi lo desidera. Su questo la Cisl si sente impegnata a creare alleanze e ad allargare la condivisione tra i cittadini dei nostri territori.