CANDY, LA FIM LAVORA PER SALVARE L’OCCUPAZIONE

L'azienda ha dichiarato che lo stabilimento di Brugherio rimarrà aperto, ma l'organico sarà ridimensionato. Il sindacato: a settembre parleremo di contratti di solidarietà, siamo però impegnati a salvaguardare il sito produttivo e l'occupazione

Dei 340 esuberi alla Candy si tornerà parlare a settembre. Ma, nel frattempo, il sindacato continuerà a lavorare per creare le condizioni migliori affinché il territorio non perda la sua ricchezza produttiva e, con essa, l’occupazione.

La Candy, storica azienda di Brugherio, sta vivendo la profonda crisi del settore elettrodomestici. Nell’ottobre 2013, sindacato e azienda hanno sottoscritto un accordo che prevede l’utilizzo per due anni dei contratti di solidarietà per far fronte a un esubero di 150-250 dipendenti (su un organico di 596). L’intesa prevede anche che la produzione si attesti sui 450mila pezzi. «La soglia dei 450mila pezzi – spiega Enrico Civillini della Fim Cisl Monza Brianza Lecco – non è però mai stata raggiunta. La produzione si è attestata sui 380-390mila pezzi. E questo non perché il gruppo abbia registrato un calo dei volumi, ma perché una parte della produzione è stata spostata in Cina. Come sindacato ci siamo chiesti (e abbiamo chiesto all’azienda) di aprire un tavolo di trattativa per capire come poter ridurre il costo del lavoro per rendere conveniente la produzione in Italia. Ma, soprattutto, abbiamo chiesto quale futuro avrà il sito di Brugherio».

In un incontro, convocato una quindicina di anni fa, la Candy ha risposto che lo stabilimento di Brugherio è strategico per il gruppo, ma verrà ottimizzata le produzione (riducendo i prodotti), saranno automatizzate le linee (con investimenti tra i 5 e i 10 milioni di euro) e i volumi si attesteranno sui 300mila pezzi. Ciò significa che l’organico avrebbe 340 lavoratori in esubero.

«La direzione – continua Civillini – si è detta disponibile a ricorrere ancora ai contratti di solidarietà. Parleremo a settembre dei dettagli. Nel frattempo, però, cercheremo di coinvolgere gli enti locali e la Regione affinché, come è stato per il caso Whirlpool, si salvaguardi l’industria italiana, magari riportando indietro alcune produzioni. Così si potrebbe salvare i posti di lavoro».