Adesione massiccia allo sciopero indetto da Fim Cisl e Fiom Cgil alla Finder Pompe di Merate (Lc). Organizzazioni sindacali, Rsu e lavoratori hanno, insieme, protestato contro il piano industriale aziendale che prevede la riorganizzazione dello stabilimento meratese e la messa in cassa integrazione dei lavoratori. Il progetto è il frutto di una storia travagliata degli ultimi anni.
Società nata nel 1952 con il nome Pompe Vergani, la Finder Pompe ha vissuto nella sua storia molti cambiamenti, con ricadute non sempre positive per i dipendenti. Nel 2013 la Finder Pompe viene acquistata dalla Docver, multinazionale americana interessata a rafforzare con questa acquisizione una delle sue divisioni, la Psg, che si occupa tra l’altro di costruzione pompe per vari usi e potenza con siti in diversi Stati.
La Finder nel 2013 contava 180 dipendenti divisi tra il sito di Querceta (Lucca) ex Cerperlli, con 30-32 dipendenti, e a Merate con 148. Nel 2015 viene sottoscritto il contratto aziendale accompagnato da un piano industriale per gli anni a seguire dove s’indicavano gli obiettivi di crescita del fatturato, della riduzione delle perdite tramite una riorganizzazione. Nel piano non era però prevista alcuna riduzione del personale,
A dicembre 2015 viene comunicato ai rappresentanti dei lavoratori del sito di Querceta che a fine anno (quindi dopo pochi giorni della comunicazione) la cessazione di tutte le attività con la chiusura dello stabilimento giustificandola con la necessità d’intervenire drasticamente su un prodotto poco redditizio e dove la concorrenza era molto forte (pompa standardizzata). «A noi – spiega Lorena Silvani, Fim Cisl Mbl – fù spiegato come tale scelta fosse necessaria anche per avere una prospettiva migliore per il sito di Merate, garantendo i livelli occupazionali per il futuro».
Il 28 febbraio 2017 la Finder Pompe avvia una procedura di licenziamento collettivo per 39 dipendenti senza alcun preavviso. Dopo scioperi, presidi iniziative varie, sindacato e azienda raggiungono un accordo: il numero di esuberi scende 15, con l’uscita su base volontaria e vengono messi in atto una serie di altri interventi (come per esempio il cambio di mansione per alcuni lavoratori). Questi interventi sono inseriti in un documento in cui sono previsti impegni anche da parte aziendale per rendere più competitiva l’azienda e ridurre le perdite.
Nel 2018 viene firmato un contratto aziendale con validità tre anni e illustrato il nuovo piano industriale 2018-2020 dove non si prevede alcuna operazione di vendita, ma attraverso una riorganizzazione del modo di operare e con una maggior sinergia all’interno della divisione Psg si cerca di incrementare la redditività portandola a un valore soddisfacente. «Nonostante la riorganizzazione di alcuni uffici – osserva Lorena Silvani – non stesse portando a una riduzione delle inefficienze, ma anzi a maggior problemi tanto vero che si ebbero diversi dimissioni tra il personale coinvolto, negli incontri avuti nel 2018 l’azienda ci ha comunicato una inversione di tendenza positiva e l’anno si è chiuso con un incrementi di fatturato significativo e sopratutto con un utile lordo di 1.800.000 euro. Nei mesi scorsi però a fronte della presenza in azienda di rappresentanti di società concorrenti i lavoratori, tramite i loro rappresentanti, hanno chiesto delucidazioni. Ci sono stati due incontri uno a dicembre con l’amministratore delegato Luca Farris, (l’ultimo dei quattro che si sono succeduti alla guida della Finder Pompe dal 2013) e l’altro a gennaio con un responsabile della divisione Psg Europa Bin Xavier dove ci è stato rassicurato che erano in corso dei contatti per eventuali accordi di collaborazione commerciale, garantendoci che i lavoratori sarebbero stati informati, nel caso di assunzione d’importanti decisioni».
Il 2 aprile 2019 si viene a sapere dal sito della Wpil della vendita della Finder Pompe ad Aturia, società controllata appunto dalla multinazionale WPIL al prezzo di 24 milioni di dollari. Negli incontri avuti con la nuova dirigenza viene comunicata l’intenzione di trasferire tutto il personale degli uffici circa 65 dipendenti, in una palazzina vicino agli attuali uffici della sede di Gessate, mantenere a Merate un reparto produttivo per la costruzione di un tipo di pompe Api con una sala prove e vendere gli immobili di Merate che non saranno più utilizzati. Oltre a questo però viene anche comunicato l’avvio di procedura di richiesta di cassa integrazione straordinaria per tutti i 95 dipendenti. Vengono esclusi solo i 4 dirigenti che la normativa non permette che siano compresi. «Ci è stato inoltre comunicato – continua la Silvani – che durante l’anno di utilizzo vorrebbero arrivare a una riduzione di 25-30 persone. Al termine dell’anno di cassa, poi la Finder Pompe sarà assorbita da Aturia e non sarà più un’azienda a sé ma una divisione del gruppo. A fronte delle nostre richieste per ridurre l’impatto negativo dell’utilizzo della cassa, di un aiuto anche economico e non solo per chi si deve trasferire, la richiesta di condividere un percorso che eviti l’uscita forzata dei lavoratori salvaguardando tutti i posti di lavoro, sono state date solo risposte negative da parte di Aturia che ci hanno costretto a indire le 4 ore di sciopero e denunciare quanto sta avvenendo alla Finder Pompe all’esterno dello stabilimento attraverso un presidio e la convocazione della stampa, perché riteniamo che questo problema del comportamento delle multinazionali non può essere solo un problema dei lavoratori e del sindacato ma deve essere anche affrontato da chi ha un ruolo istituzionale. Ci aspettiamo pertanto un riscontro anche da parte di questi soggetti pubblici».
Il confronto con il rappresentante di Aturia, assistito da Confindustria Lecco, proseguirà il 24 luglio (ore 15). «Il giorno dopo, il 25, – conclude Lorena Silvani – siamo stati convocati in Regione presso la POLIS, passaggio previsto dalla procedura di cassa. Noi andremo ma, se non cambieranno le condizioni, non firmeremo alcun documento».