«Salario minimo? Meglio il contratto nazionale»

di Beatrice Elerdini
Mb News

Il salario minimo è sul tavolo delle trattative del governo. «È una battaglia di civiltà», ha dichiarato Di Maio, promettendo che diventerà legge. Dall’altra parte, la Lega mette il freno sostenendo di temere che possa aumentare troppo il costo del lavoro per le imprese. Per la Cisl, si tratta di una scelta potenzialmente rischiosa: «Un buon contratto nazionale è sempre meglio di un salario minimo» spiegano a MBNews Rita Pavan, segretaria generale Cisl Monza Brianza Lecco e Stefano Goi, responsabile ufficio vertenze Monza Brianza Lecco.

Le ragioni dell’esistenza del lavoro povero in Italia

«In Italia c’è un problema di salari bassi, ma non esiste un problema di mancanza di copertura di contratti nazionali. In molti Paesi Europei il salario minimo è stato inserito proprio perché non esiste un sistema di tutela di contratti nazionali per tutte le categorie di lavoratori. Ciò nonostante in nessun Paese europeo è stato definito un salario minimo orario, per legge uguale, per tutti. Esistono commissioni nazionali, costituite dal ministero del Lavoro e dalle parti sociali, che ogni anno fissano i minimi salariali. Inoltre, nei Paesi in cui il salario minimo è stato introdotto, questo non è previsto per tutti, esistono alcune categorie di lavoratori, come apprendisti, under 24, disoccupati di lunga durata, colf, che sono rimaste escluse», spiega la segretaria generale Cisl Monza Brianza Lecco.

Lavoratori tenuti in situazioni di irregolarità

«Secondo alcuni studi in Italia – continua -i lavoratori non coperti dai contratti nazionali sono circa il 10-15% della forza lavoro. In realtà, è un dato non del tutto preciso perché se andiamo ad analizzare nel dettaglio le posizioni ci accorgiamo che non si tratta di lavoratori che non hanno un contratto nazionale di riferimento, ma vengono tenuti comunque in una situazione di irregolarità: possono essere finti soci delle cooperative spurie che attraverso i regolamenti aziendali applicano delle paghe da povertà, oppure false partite Iva ora in aumento per effetto dell’abbassamento della tassazione e con questa scusa pagate ancora meno. Non sono pochi i casi in cui persone dipendenti vengano infatti obbligate a passare a partita Iva. Infine ci sono i part time involontari, ovvero lavoratori costretti dalle aziende a lavorare con orario ridotto».

«Per queste fasce di lavoratori non è che non esista un contratto di riferimento, sono solo vittime di certi datori di lavoro che cercano di sfruttare ogni escamotage possibile per non mettere le persone in regola e quindi poterle pagare sempre meno».

«In questi casi, l’ufficio vertenze della Cisl agisce invocando l’articolo 36 della Costituzione, secondo il quale al lavoratore va garantita una retribuzione tale per cui possa avere una vita dignitosa, in rapporto al lavoro prestato – spiega Stefano Goi – e così apparentemente sembra rimanere l’enigma di quale sia questa retribuzione. Sinora la giurisprudenza ha stabilito che è quella garantita dai contratti nazionali maggiormente rappresentativi. Attualmente è il settore della logistica quello che offre paghe più basse, si parla addirittura di 4-5 euro all’ora. In questi ambiti entrano in gioco le cooperative di facchinaggio, che per la maggior parte, fatte le dovute eccezioni, impongono contratti da miseria».

«Per questo ci vorrebbero più controlli. Attualmente in Italia si contano 4mila ispettori del lavoro a fronte di 1.800.000 aziende private. Per poter fare controlli a tappeto, questi ispettori dovrebbero effettuare controlli in 456 aziende all’anno. Il fenomeno del lavoro irregolare va controllato, verificato e sanzionato», ha aggiunto Rita Pavan.

I contratti pirata

«A determinare la presenza di lavoro povero in Italia sono anche i cosiddetti contratti pirata. Nel nostro Paese, registrati al Cnel, ci sono 700 contratti nazionali, di cui solo 238 firmati da Cgil, Cisl e Uil. Gli altri sono sottoscritti da associazioni datoriali improvvisate. Anche su questo sarebbe opportuno intervenire, è fondamentale ridurre i contratti pirata, considerato che si interpongono a quelli firmati dalle sigle sindacali più rappresentative, per via del fatto che prevedono una riduzione dei costi pari addirittura al 30%».

I rischi di un salario minimo

«Come Cisl – continua Rita Pavan – siamo contrari all’introduzione di un salario minimo per legge uguale per tutti. Il rischio è che molte imprese (soprattutto Pmi) si sentano incentivate a uscire dagli obblighi del contratto nazionale, per applicare il salario minimo, integrato da soli contratti o regolamenti aziendali. Per fare un esempio concreto, se un’azienda decide di applicare il famoso salario minimo orario di 9 euro, poi che fine fanno la tredicesima, la quattordicesima, il fondo pensione, le maggiorazioni, l’indennità, i premi, il fondo di integrazione sanitaria, il welfare contrattuale, la riduzione d’orario e i permessi? Si tratta di differenze sostanziali che soltanto un contratto nazionale è in grado di garantire. Il salario minimo non serve ad affrontare il problema dei lavoratori a basso reddito o part time involontario. Per costoro servono soluzioni di sostegno al reddito. Inoltre, l’introduzione di un salario minimo rischia di rendere ancora più difficili, se non irraggiungibili, i rinnovi di contratti nazionali in settori ad alta intensità di lavoro o nelle catene di appalto».

«È altresì vero che esistono dei contratti nazionali per alcune categorie di operai che hanno una paga oraria al di sotto dei 9 euro, ma ai 6/7 euro di contratto vanno comunque aggiunti tutti gli altri elementi che abbiamo poc’anzi menzionato. Proprio di questo, ovvero del Tec, Trattamento Economico Complessivo, introdotto come concetto nell’accordo dello scorso anno tra Cgil Cisl Uil e Confindustria, abbiamo parlato col Governo durante un recente incontro».

Le proposte della Cisl

«Innanzitutto occorre una norma che stabilisca il valore universale, ovvero erga omnes, dei minimi retributivi fissati dai Ccnl siglati dalle parti più rappresentative, in modo che ogni datore di lavoro sia tenuto a garantire i trattamenti previsti dai Ccnl più significativi. Ogni settore avrebbe quindi un salario contrattuale a valore legale. Eliminando i troppi contratti in dumping che legalizzano il sottosalario si otterrebbero risultati importanti. Questo è molto diverso dal sancire 9 euro all’ora per tutti i lavoratori. Poi è vero che esistono settori il cui contratto nazionale di riferimento prevede paghe più basse, come abbiamo detto poc’anzi, ma è anche dovuto alla debolezza economica del settore stesso. Per questi sarebbe impossibile imporre un salario a 9 euro all’ora, significherebbe mandarli fuori mercato».

«Dal nostro punto di vista è altresì importante che il Governo e il Ministero del Lavoro si confrontino maggiormente con il sindacato e le parti sociali, per definire misure condivise volte a innalzare i salari più bassi. Occorre anche stabilire presso il Cnel e il ministero, un gruppo di lavoro delle parti sociali per la definizione dei perimetri della contrattazione. Inoltre è doveroso che vengano finalmente attuati i protocolli per la misurazione della rappresentatività dei sindacati, definiti da tempo con Confindustria e al momento fermi al Ministero del Lavoro».

«Non di meno è fondamentale intervenire per vietare il lavoro in false cooperative e intensificare il contrasto al lavoro nero, irregolare e al caporalato, con norme ad hoc. Infine è necessario abbassare le tasse di chi lavora a partire dai redditi più bassi. Questa dovrebbe essere la priorità del governo».