Brugola, licenziamenti e cig senza rotazione

Alla Brugola Oeb di Lissone 40 lavoratori sono in cassa integrazione ordinaria a causa della pandemia di Covid e, secondo quanto dichiara la direzione sulla stampa rispondendo alla denuncia delle organizzazioni sindacali, per la situazione di mercato del settore automotive nel quale opera.

«Quello che però fa specie e non dice la direzione è che l’utilizzo della cassa integrazione, che non è un problema utilizzare laddove necessario, riguarda sempre e solo i soliti lavoratori che non sono mai stati fatti rientrare al proprio posto di lavoro e che quindi, nonostante ci sia la possibilità, non viene effettuata con la rotazione», spiega Stefano Bucchioni, Fiom Cgil Monza e Brianza, in un comunicato stampa firmato da Fim, Fiom e Uilm.

«Continuiamo a denunciare tale situazione senza però che l’azienda riveda la propria posizione e ristabilisca un minimo di equità nell’utilizzo dello strumento – prosegue Stefano Muzio della Uilm Uil -. Forse alcuni lavoratori non sono graditi alla direzione aziendale e lo vogliono esplicitare non facendoli rientrare, mettendoli economicamente in difficoltà anche nel mantenimento delle famiglie e dei figli».

Inoltre, denunciano Fim, Fiom e Uilm, nonostante le normative nazionali emanate dal Governo per la gestione della fase emergenziale dovuta alla pandemia di Covid-19 prevedono il divieto di licenziamento, la Brugola ha comunque proceduto a interrompere il rapporto di lavoro con qualche lavoratore che già era in cassa integrazione. «Tali cessazioni di rapporto sono state fatte non solo in pieno divieto di licenziamento ma anche senza rispettare le normative previste per i licenziamenti collettivi che deve essere applicata, come previsto dalla Legge n. 223/91, se si effettuano più di cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni», spiega Eliana Dell’Acqua della Fim Cisl.

«La procedura citata prevede il conseguente coinvolgimento delle organizzazioni sindacali in rappresentanza dei lavoratori per trovare soluzioni e accordi, anche alternative al licenziamento, che però ripeto a oggi e fino al 31 marzo, salvo nuove proroghe nazionali, sono bloccati», precisa Stefano Bucchioni e aggiunge Eliana Dell’Acqua: «nell’eventuale necessità, comunque di dover ridurre la struttura le norme a oggi consentono sempre attraverso accordi collettivi con le organizzazioni dei lavoratori di consentire eventuali uscite che devono essere volontarie, ma anche questo percorso differentemente da quello che dichiara la dirigenza di Brugola è stato aggirato».

«I lavoratori che hanno accettato di uscire, anche perché in difficoltà economica dopo un lungo periodo di cassa integrazione e a seguito di proposta economica per non impugnare il licenziamento messo sul piatto dall’azienda, non sono usciti come cercano di fare passare attraverso accordi collettivi con le organizzazioni sindacali territoriali presenti in azienda – chiarisce Stefano Bucchioni -, ma attraverso il meccanismo in cui il lavoratore accetta di essere licenziato in cambio di un importo economico che garantisce l’azienda rispetto alla non impugnazione del licenziamento e quindi si firma tra le parti una conciliazione. Queste conciliazioni non sono accordi con le organizzazioni sindacali, differentemente da ciò che sostiene l’azienda».

«Le conciliazioni sottoscritte, inoltre, non sono state siglate con Fim, Fiom e Uilm di Monza e Brianza e che hanno iscritti tra i lavoratori e seguono gli stabilimenti brianzoli di Brugola, non si può quindi sostenere che vi sia accordo sindacale su questa operazione», tengono a rimarcare con i rappresentanti le organizzazioni sindacali che precisano inoltre che, da inizio pandemia a oggi, in Brugola non è stato, forse strumentalmente per screditare le organizzazioni sindacali e i propri rappresentanti territoriali e aziendali, possibile svolgere assemblee con i lavoratori.

Anche le Rsu vengono costantemente ignorate e scavalcate sulle scelte aziendali quotidiane riguardanti la gestione delle attività, gli orari e tutto ciò che è il rapporto di lavoro e che andrebbe discusso con i rappresentanti eletti dai lavoratori. «Non è possibile giustificare che le assemblee non vengono svolte usando come giustificazione quello che avviene in altre aziende. Alla domanda che viene posta riguardo allo svolgimento di assemblee sindacali in altri luoghi di lavoro si potrebbe rispondere portando diversi esempi in cui avviene», viene detto da Eliana Dell’Acqua al quale segue Stefano Bucchioni: «Quello che chiediamo e che avviene in altre aziende è che vengano individuati gli spazi, che ci venga comunicata la capienza di lavoratori che con il dovuto distanziamento e con tutte le precauzioni previste dal protocollo aziendale possano entrare nei locali presti, con questo sarà poi nostro compito organizzare le assemblee necessarie per coinvolgere i lavoratori e le lavoratrici». Stefano Muzio aggiunge: «come organizzazioni sindacali siamo ovviamente interessati e attenti a svolgere le assemblee in presenza quando necessario e in sicurezza per non passare da untori, ma non possiamo pensare che, nel momento in cui dobbiamo relazionarci con i lavoratori, ci venga impedito con la motivazione della mancanza di spazi». Infine tengono nuovamente a ribadire «non è possibile che con arroganza, presunzione e possibilità economica a disposizione, ci sia chi pensa di poter aggirare le normative contrattuali e le leggi. In un Paese che vuole essere considerato civile, evoluto e democratico bisogna fare sì che vi sia il controllo sul rispetto delle norme» dicono i tre rappresentanti di Fim, Fiom e Uilm.